Sono nato a poche centinaia di metri dalla Fabbrica Lamborghini, a Sant’Agata Bolognese. Il mio sogno, fortemente desiderato e rincorso per tutta l’infanzia, si è realizzato quando sono riuscito a farmi assumere come magazziniere.
Non ero un magazziniere normale però, ero l’unico che correva per andare a prendere una frizione, l’unico che sporcava le macchine apposta per poterle portare al lavaggio di nuovo, per poterle guidare anche pochi metri. Divenni poi meccanico e successivamente collaudatore, poco dopo che Bob Wallace lasciò il suo posto a Stanislao Sterzel, il mio grande Maestro. Fu lui a darmi le basi per questo mestiere, sulle Urraco, sulle Countach. Avevo coronato il mio sogno.
Chi sarebbe così matto da rinunciarci? In questo mi sento diverso dagli altri collaudatori.
Io proprio non ce la feci a dire di no quando l’Ingegner Paolo Stanzani mi chiamò dagli stabilimenti Bugatti per chiedermi: “Loris, quando vieni qui?” invitandomi in una realtà del tutto nuova, senza certezze, senza nessuna sicurezza, in un posto dove neanche si vedeva ancora un motore.
Quel motore però io sapevo che sarebbe stato un quadriturbo, V12, che avrebbe scaricato a terra tramite una trazione integrale con differenziali a rampe meccaniche.
Cose che fanno impazzire un appassionato di guida e tecnica come me. Avrei potuto finalmente sviluppare una macchina, un progetto, da zero.
In Lamborghini questo non era possibile durante quegli anni.
Dissi sì, auto-condannandomi a non accontentarmi mai più di niente, neanche delle più incredibili Supercar.
La Bugatti EB110 fu la mia esperienza di vita e lavoro migliore, che ancora oggi ricordo con grande affetto.
Come sappiamo finì male, ci trovammo tutti persi.
Iniziai a girare il mondo per mettere a punto le Bugatti e le scie lasciate dai progetti di Campogalliano, questo mi portò prima a Montecarlo per seguire la EB112 di Gildo Pastor Pallanca e le sue altre EB110, tra cui l’unica IMSA esistente, allestita da noi pochi anni prima in Fabbrica, e poi in Brunei per prendermi cura di tutte le sue Bugatti Supersport del Sultano (ne aveva cinque). Una volta lì, girando per gli infiniti spazi nei quali erano rimesse le sue oltre duemila supercar, mi fermai a guardare le 37 Lamborghini della collezione.
Venni incaricato di curare anche loro, poi le sue cinque Dauer Porsche 962 Le Mans, poi le sue innumerevoli McLaren F1 e GTR.
Rimasi incastrato tra quelle creature incredibili per lungo tempo. Le misi a punto tutte e tornai in Italia, quando un nuovo progetto stava nascendo nei dintorni di Modena.
Una nuova Signora dei motori stava passando da concetto a oggetto reale. Fummo in tre a tirare su la Zonda: Horacio Pagani, io e Remo Pizzinardi.
La “Nonna”, che ancora oggi fa bella mostra di sè nell’atelier di San Cesario sul Panaro, fu il mio studio per mesi.
Ne ricordo a memoria ancora la targa, all’epoca non c’erano fondi per fare tanti prototipi, facevamo tutto su quella, allestendola volta per volta e aggiornandola.
Horacio ha continuato ad elaborarla fino alla massima versione della Zonda, oggi con oltre 1 milione di km.
Proprio con lei andammo al Salone di Parigi nel 2000 e fu lì che vidi per la prima volta quella rabbiosa e strana auto svedese, che avrei presto imparato chiamarsi Koenigsegg. Contemporaneamente presi a lavorare per la nuova Bugatti Veyron e per Christian Von Koenigsegg poco tempo dopo.
Erano due hypercar impressionanti e molto diverse; la più brutale di tutte e la più signorile.
Entrambe puntavano molto in alto, ma la Veyron fu la prima auto a passare la linea dei 400 km/h. Andavo spesso in Svezia, talmente spesso che Christian mi propose di mandare giù a Bologna la CC8 per risparmiare tempo.
La ebbi con me, sotto casa mia a Castelfranco Emilia, quando dalle nostre parti nessuno aveva idea di che cosa fosse quell’animale sbuffante e muscoloso.
Ero sospeso nel mezzo di questi due titani, entrambi in guerra per la macchina più veloce del mondo ancora oggi.
Dal progetto Veyron avevo ritrovato il Gotha dell’automobile, Giampaolo Dallara, per me un simbolo di professionalità difficile da eguagliare e sempre con la Dallara collaborai per un altro telaio, totalmente e diametralmente opposto, quello della agilissima KTM X-Bow, che usai poi per aprire la Loris Bicocchi Academy, oggi rinata sotto il nome di Drive Experience Academy con il mio amico Davide Cironi.
Tanti interessanti progetti negli anni non sono purtroppo andati a buon fine, come la nuova gamma Lotus di Wolf Zimmerman in cui ero stato coinvolto, come la hypercar marocchina Laraki Fulgura o la Dunca, un folle progetto rumeno che puntava ai 3.000 cv e 500 km/h con motore anteriore e posteriore.
Seguii dunque le Koenigsegg fino alle basi del progetto Agera, la Bugatti fino alla mia adorata Chiron. Dall’ottobre del 2017 sono tornato in Italia, nella mia Sant’Agata Bolognese, e ho partecipato allo sviluppo della incredibile Dallara Stradale.
Il mio desiderio di adrenalina e velocità non è ancora sfumato, ma gli si avvicina sempre più quello di poter trasferire la mia esperienza a chi ha voglia di imparare.
La Drive Experience Academy ha questo scopo, insegnare a conoscere meglio la dinamica di una vettura e affinare la sensibilità del driver per saper gestire una messa a punto. 
Loris Bicocchi

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